La rinuncia alla proprietà immobiliare

La rinuncia alla quota di comproprietà

La rinuncia alla proprietà è oggi ipotizzabile quando si tratta di rinunciare a una quota di comproprietà. In questo caso, infatti, si ritiene che la quota oggetto di rinuncia si accresca proporzionalmente alle quote degli altri comproprietari.
Per esempio, se io rinuncio alla quota di un terzo, gli altri due comproprietari, che avevano un terzo ciascuno, avranno ora un mezzo ciascuno.
Tutto ciò avviene automaticamente in seguito alla semplice rinuncia, quindi senza bisogno di un’accettazione da parte degli altri comproprietari.

La rinuncia alla quota di comproprietà consente di accrescere la quota dei comproprietari, e ciò può risultare, in alcuni casi, vantaggioso. Se i comproprietari sono, per esempio, due coniugi che hanno acquistato insieme la casa, la rinuncia da parte di uno di loro fa sì che l’altro divenga pieno proprietario, senza che ciò faccia sorgere i problemi sulla futura commerciabilità dei beni, che deriverebbero da una donazione della quota di comproprietà.

Allo stato attuale, questa sembra essere la principale applicazione concreta della rinuncia alla proprietà.

Ricordiamo infatti che in seguito alla posizione recentemente assunta dalla Corte di Cassazione, che ha affermato la nullità della quota di un singolo bene compreso in una più ampia comunione ereditaria (Cassazione, sentenza 15 marzo 2016, n. 5068), appare dubbia la possibilità di rinunciare alla quota di comproprietà di un singolo bene ricevuto in eredità.


La rinuncia all'intera proprietà

La possibilità di rinunciare all'intera proprietà di un immobile è stata invece ipotizzata negli ultimi anni, quando sono sorte alcune situazioni nelle quali la proprietà di un immobile non porta alcun vantaggio, ma porta con sé diverse spese, sotto forma di imposte e tasse di varia natura, e di costi da sostenere per la manutenzione, oltre alle responsabilità che ne possono derivare nei confronti dei terzi.
Pensiamo, per esempio, alla proprietà di un fabbricato fatiscente e decrepito, la cui ristrutturazione (o anche la semplice “messa in sicurezza”) comporterebbe spese rilevanti, ma che potrebbe causare danni a altre persone, di cui il proprietario sarebbe responsabile. Oppure a un terreno agricolo incolto in zona montana, che nessuno avrebbe interesse a coltivare, ma che è comunque soggetto alle imposte a carico della proprietà. Spesso, in queste situazioni, risulta impossibile trovare un acquirente, e neppure qualcuno che accetti di riceverlo gratuitamente, attraverso una donazione.

In questi casi si è ipotizzato di stipulare un atto di rinuncia alla proprietà, con cui il proprietario si spoglia di ogni suo diritto sull’immobile, e da quel momento non ha più niente a che fare con esso, né sotto il profilo fiscale né sotto quello della responsabilità.

In seguito alla rinuncia alla proprietà dell’intero bene, la legge stabilisce che la proprietà sia acquisita dallo Stato, in base alla regola generale secondo cui gli immobili che non sono di proprietà di alcuno passano allo Stato (art. 827 del codice civile). L’acquisto da parte dello Stato avverrebbe dunque automaticamente, in seguito alla semplice rinuncia, senza bisogno di un’accettazione.
Recentemente, però, l’acquisto di alcuni immobili da parte dello Stato a seguito della rinuncia è stato messo in discussione da parte del Demanio, e di conseguenza può essere difficile ottenere la modifica dell’intestazione catastale.
Fino a che la questione non sarà definitivamente risolta, non è consigliabile stipulare atti di rinuncia totale alla proprietà.


Gli effetti della rinuncia

La rinuncia alla proprietà libera il rinunziante dalle spese successive all’atto notarile, e la rinuncia alla quota di comproprietà su un bene immobile produce anche un effetto liberatorio per le spese di conservazione e godimento della cosa comune, e per le spese deliberate dalla maggioranza, precedenti all’atto di rinuncia (art. 1104 del codice civile).

La facoltà di rinuncia vale anche per i diritti reali limitati: è dunque possibile rinunciare al diritto di usufrutto (e in questo caso il diritto si consolida a favore del nudo proprietario), al diritto di superficie o alla proprietà superficiaria (a favore del proprietario del suolo), al diritto di servitù (che si estingue).

Ricordiamo anche che nell’ambito della servitù esiste una norma particolare, che consente al proprietario del fondo servente di rinunciare alla proprietà a favore del proprietario del fondo dominante, quando le spese necessarie per l’uso o la conservazione della servitù sono poste a suo carico dal titolo o dalla legge (art. 1070 del codice civile). E’ il cosiddetto “abbandono del fondo servente”.

Nell’ambito del condominio, invece, esiste una norma (art. 1118, secondo comma, del codice civile) che vieta al condomino di rinunziare al suo diritto sulle parti comuni (che sono quelle indicate dall’art. 1117 del codice civile).

La rinuncia alla proprietà, essendo normalmente eseguita senza ricevere alcun corrispettivo, è soggetta all’imposta di donazione (art. 1, secondo comma, del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346). Il costo dell’atto di rinuncia è pertanto simile a quello di un atto di donazione.

Se la rinuncia avvenisse invece a titolo oneroso, cioè dietro corrispettivo, si applicherebbe l’imposta di registro con le aliquote previste per la compravendita immobiliare (art. 1 della tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131).

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