La vendita di un fabbricato o di un terreno (non edificabile) da parte di un privato normalmente non è soggetta alle imposte sulla plusvalenza se sono trascorsi almeno cinque anni dall’acquisto, se è pervenuto per successione o se egli è stato residente nell’abitazione per la maggior parte del periodo intercorso tra l’acquisto e la cessione.
Questa certezza è ora messa in discussione dall’interpretazione data dall’Agenzia delle entrate sulle nuove norme che tassano come "redditi diversi”, nell’ambito della dichiarazione dei redditi, i proventi della costituzione di diritti reali, tra cui l’usufrutto (art. 67, comma 1, lettera h del testo unico delle imposte dirette, approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, come modificato dalla legge di bilancio 2024).
L’Agenzia delle entrate, infatti, ha precisato che si ha costituzione di usufrutto anche quando il titolare della piena proprietà vende l’immobile a due o più soggetti, che si intestano separatamente la nuda proprietà e il diritto di usufrutto (Agenzia delle entrate, risposta a interpello n. 133/2025). La conseguenza è la tassazione, in capo al venditore, della parte del prezzo di vendita corrispondente al valore dell’usufrutto.
Ciò avviene con una certa frequenza, quando i genitori decidono, per esempio, di acquistare un appartamento intestando la nuda proprietà al figlio (per evitare la futura successione) e l’usufrutto a sé. Si tratta di una scelta della parte acquirente, legata alle proprie esigenze di pianificazione patrimoniale familiare, ma oggi, secondo quanto precisato dall’Agenzia delle entrate, ciò comporta una tassazione del venditore, anche nei casi in cui egli, se non fosse stato costituito l’usufrutto, non avrebbe dovuto pagare nulla, perché sono trascorsi almeno cinque anni dall’acquisto, se è pervenuto per successione o se egli è stato residente nell’abitazione per la maggior parte del periodo intercorso tra l’acquisto e la cessione, Ricordiamo inoltre che non viene tassata la sola plusvalenza (differenza tra prezzo di vendita e acquisto) ma l’intera parte del prezzo corrispondente al valore dell’usufrutto.
Si tratta dunque di un risultato che appare iniquo, poiché in un caso del genere non è volontà del venditore costituire l’usufrutto (lui sta vendendo la piena proprietà), ma una scelta dell’acquirente. Per questa ragione la nuove norma era stata sinora interpretata diversamente, assoggettando a tassazione solo la costituzione di usufrutto con riserva per sé della nuda proprietà (Studio n. 142024/T del Consiglio Nazionale del Notariato).
Alla luce della puntualizzazione dell’Agenzia delle entrate, è opportuno chiedersi se la clausola con cui il promittente acquirente, nel contratto preliminare, si riserva di acquistare “per sé o per persona da nominare” gli consenta di indicare due diversi soggetti che acquistino separatamente la nuda proprietà e l’usufrutto. Si potrebbe infatti ritenere che quando il contratto preliminare ha ad oggetto il trasferimento della "piena proprietà" di un immobile, l'indicazione di due soggetti distinti per l'acquisto di diritti reali minori (nuda proprietà e usufrutto) potrebbe configurarsi non come una semplice designazione del contraente, ma come una modifica dell'oggetto stesso della prestazione dovuta dal promittente venditore. Quest'ultimo si è impegnato a trasferire la piena proprietà a un unico soggetto (lo stipulante o il terzo da lui nominato), non a costituire due distinti diritti reali a favore di due persone diverse.
Per evitare qualsiasi controversia è comunque opportuno che d’ora in avanti il promittente venditore si preoccupi di inserire nel contratto preliminare una clausola che esclude espressamente la possibilità per l’acquirente di nominare diversi soggetti per l’acquisto della nuda proprietà e dell’usufrutto.
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