I profili fiscali della prelazione agraria

Relazione al Convegno dell'Associazione Italiana Cultori Diritto Agrario - Milano 25-26 maggio 2018

Parlare dei profili fiscali della prelazione agraria significa affrontare il rapporto tra i due aspetti essenziali su cui si concentra l’attenzione dei contraenti nell’ambito dell’accordo per il trasferimento della proprietà di un fondo agricolo, che sono appunto il diritto di prelazione agraria e le imposte applicabili all’atto di compravendita.
La sussistenza o meno del diritto di prelazione agraria in capo a chi si propone di acquistare un fondo agricolo, o ad altri soggetti (affittuario o confinanti) è uno dei punti principali che le parti (e i professionisti che le assistono) devono affrontare dalle parti nell’ambito della contrattazione preliminare.
L’altro aspetto essenziale, spesso determinante per la conclusione del contratto, è rappresentato dalla possibilità di applicare una tassazione agevolata all’acquisto del fondo agricolo. E’ questo, infatti, uno dei casi (in realtà piuttosto numerosi) in cui il profilo fiscale dell’operazione, da aspetto secondario e accessorio, può diventare preminente, data l’incidenza che può assumere la fiscalità rispetto al valore del bene oggetto di contrattazione.
Il nostro ordinamento, infatti, prevede una differenza significativa tra le aliquote ordinarie dell’imposta di registro per l’acquisto di terreni agricoli, e il trattamento fiscale agevolato applicato in presenza dei requisiti della cosiddetta “piccola proprietà contadina” (Ppc), al punto da incidere sulla stessa convenienza dell’operazione.
Ricordiamo infatti che a fronte di una tassazione con imposta di registro pari al 15% del prezzo di acquisto (con un minimo di 1.000 euro, oltre alle imposte ipotecaria e catastale nella misura fissa di 50 euro ciascuna), prevista in via generale per l’acquisto di terreni agricoli, i coltivatori diretti e gli imprenditori agricoli professionali iscritti nella relativa gestione previdenziale (nonché le società agricole) possono chiedere l’applicazione delle agevolazioni per la “piccola proprietà contadina” (Ppc) che riducono l’aliquota proporzionale all’1% del prezzo di acquisto del fondo agricolo (a titolo di imposta catastale, a cui si aggiungono le imposte di registro e ipotecaria nella misura fissa di 200 euro ciascuna), a condizione che mantengano la proprietà e continuino la coltivazione del fondo per almeno cinque anni dopo l’acquisto, e conservino la qualifica di coltivatore diretto o imprenditore agricolo professionale per lo stesso periodo. E’ solo il caso di accennare, peraltro, che la definizione di coltivatore diretto ai fini fiscali non coincide esattamente con la qualifica richiesta per l’attribuzione del diritto di prelazione agraria; quest’ultima infatti non richiede l’iscrizione previdenziale, che è invece essenziale per la normativa fiscale.
Al di là della denominazione, che rappresenta soltanto un retaggio storico, quella per la “piccola proprietà contadina” è un’agevolazione che può essere utilizzata per l’acquisto di fondi agricoli di qualsiasi dimensione, ed è normalmente utilizzata per la generalità dei trasferimenti di fondi agricoli, essendo molto rari i casi in cui si applica la tassazione ordinaria.
La possibilità di applicare l’agevolazione per la piccola proprietà contadina risulta dunque essenziale nella maggior parte dei trasferimenti di fondi agricoli, e soprattutto per quelli che hanno per oggetto fondi di maggiori dimensioni (e di conseguenza di maggior valore).
Meno nota, perché oscurata dalla maggiore convenienza dell’agevolazione per la piccola proprietà contadina, è la possibilità riconosciuta ai coltivatori diretti e agli imprenditori agricoli professionali, iscritti nella gestione previdenziale e assistenziale, di applicare all’acquisto di fondi agricoli l’imposta di registro con l’aliquota (ordinaria) del 9%, in luogo di quella “maggiorata” del 15%. Questa opportunità viene utilizzata molto raramente, perché il coltivatore diretto o l’imprenditore agricolo professionale, iscritto nella gestione previdenziale e assistenziale, ha normalmente convenienza a chiedere l’applicazione dell’agevolazione per la piccola proprietà contadina. L’aliquota del 9% potrebbe però essere utilizzata quando manca la possibilità di adempiere agli altri obblighi imposti dall’agevolazione per la piccola proprietà contadina, come per esempio quello di mantenere la proprietà e continuare la coltivazione del fondo agricolo acquistato per almeno cinque anni, oppure quello di mantenere la qualifica per lo stesso periodo di tempo.


Imposizione fiscale e prelazione

Il rapporto tra il diritto di prelazione agraria e il trattamento fiscale della compravendita del fondo agricolo può essere esaminato sotto diversi profili.
Un primo aspetto fiscale si presenta già al momento della notifica della denuntiatio, con i dubbi che sono stati avanzati circa le conseguenze della mancata registrazione del contratto preliminare.
Un altro profilo è quello relativo alle conseguenze sul piano fiscale dell’esercizio della prelazione agraria, o del diritto di riscatto.
C’è infine un altro aspetto, di una certa rilevanza pratica, che riguarda la fase preliminare della contrattazione, per i riflessi che può avere la prelazione agraria (o meglio la presenza o meno dei presupposti del diritto di prelazione agraria) sulla tassazione della compravendita del fondo agricolo.


Denuntiatio e registrazione del contratto preliminare

Come è noto, la legge dispone che il proprietario, al fine di consentire l’esercizio del diritto di prelazione, deve notificare con lettera raccomandata all’affittuario o al confinante la proposta di alienazione, trasmettendo il preliminare di compravendita contenente tutte le indicazioni previste dalla legge.
Ci si è dunque posti il problema delle eventuali conseguenze della mancata registrazione del contratto preliminare notificato insieme alla proposta di alienazione.
La registrazione del contratto preliminare è un obbligo previsto dalla legge, tuttavia non c’è dubbio, in termini generali, che la mancata registrazione non incida sulla validità sostanziale dell’atto.
La mancata registrazione del contratto preliminare, pur esponendo le parti a sanzioni sul piano fiscale, non ha pertanto alcuna conseguenza sulla validità della denuntiatio, al fine dell’applicazione delle norme sulla prelazione agraria.
In tal senso si è espressa anche la Corte di Cassazione, secondo la quale è irrilevante, sotto il profilo civilistico, l’eventuale mancanza di registrazione del contratto preliminare oggetto di notifica (Cass. 19 novembre 1984, n. 5896).


Le conseguenze fiscali della prelazione e del riscatto

Un altro profilo legato alla fiscalità della prelazione agraria riguarda i riflessi sul piano fiscale dell’esercizio della prelazione, o del diritto di riscatto.
L’esercizio della prelazione agraria, infatti, accanto ai preminenti effetti di carattere sostanziale, comporta conseguenze anche sotto il profilo fiscale.


L’esercizio delle prelazione: tassazione del contratto preliminare e del contratto definitivo

Quando il diritto di prelazione viene esercitato in seguito alla notifica della denuntiatio, le imposte indirette sono applicate al momento della registrazione dell’atto che riproduce il contratto di compravendita (in realtà già concluso con l’incontro di proposta e accettazione), oppure della sentenza che accerta la conclusione del contratto, mediante verifica dell’autografia delle sottoscrizioni della denuntiatio e dell’atto di esercizio della prelazione.
Non si pongono dunque particolari problemi sotto il profilo fiscale, poiché la compravendita viene stipulata direttamente tra il proprietario del fondo agricolo e il soggetto che ha esercitato il diritto di prelazione. La compravendita è tassata secondo le regole ordinarie, e l’acquirente può chiedere l’applicazione delle agevolazioni fiscali direttamente nell’ambito dell’atto di compravendita.
In questo caso si pone soltanto il problema delle imposte applicate al contratto preliminare di compravendita.
Il contratto preliminare (se non sottoposto a condizione, oppure sottoposto a condizione risolutiva dell’esercizio della prelazione, come spesso avviene) ha scontato l’ordinaria tassazione: imposta di registro fissa, oltre all’eventuale imposta proporzionale dello 0,50% sull’importo della caparra e del 3% sull’importo dell’acconto.
A seguito all’esercizio del diritto prelazione da parte dell’avente diritto, il contratto preliminare perde efficacia tra le parti, tuttavia non è prevista la possibilità di chiedere la restituzione dell’imposta proporzionale già pagata (e neppure, ovviamente, dell’imposta fissa).
Se invece il contratto preliminare di compravendita fosse soggetto a condizione sospensiva del mancato esercizio della prelazione, sconterebbe subito l’imposta di registro in misura fissa, e in seguito all’esercizio del diritto di prelazione non sarebbe più dovuta l’imposta proporzionale, rimanendo il contratto preliminare privo di efficacia.


Profili fiscali dell’esercizio del riscatto

Più complessa è la situazione in caso di esercizio del diritto di riscatto.
In questo caso si pone infatti il duplice problema dell’applicazione delle imposte di registro in capo al riscattante (con eventuale richiesta delle agevolazioni fiscali), e della sorte delle imposte già pagate dall’originario acquirente per la registrazione del contratto di compravendita.


Le imposte dovute dal riscattante

Sotto il profilo fiscale, e in particolare al fine dell’applicazione delle imposte di registro, ipotecarie e catastali, la prassi dell’amministrazione finanziaria accoglie l’interpretazione, prevalente in giurisprudenza e nella dottrina, secondo cui l’esercizio del diritto di riscatto comporta la sostituzione del riscattante nella posizione dell’originario acquirente, con effetto retroattivo (Cass. 28 giugno 2011, n. 14257, Cass. SS.UU. 22 aprile 2010 n. 9523; Cass. 22 gennaio 2004 n. 1103).
Tale affermazione è ricorrente anche nella giurisprudenza tributaria (Commissione Tributaria Centrale, 20 gennaio 2001, n. 365; Commissione Tributaria Centrale, 11 ottobre 1994, n. 3312; Commissione Tributaria Centrale, 10 aprile 1989, n. 2578).
In ogni caso, indipendentemente dalla qualificazione civilistica del riscatto come sostituzione del riscattante nella posizione dell’originario acquirente piuttosto che di formazione di un nuovo titolo di acquisto, sia la giurisprudenza tributaria sia la prassi dell’amministrazione finanziaria ritengono rilevante esclusivamente il fatto che la sentenza che accerta l’esercizio del diritto di riscatto determina il trasferimento della proprietà del fondo agricolo a favore del riscattante, e pertanto affermano che essa deve essere assoggettata alla tassazione prevista per le sentenze recanti trasferimento di diritti reali su beni immobili (secondo le previsioni di cui all’articolo 8, comma 1, lettera a), della Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131), ovvero con le stesse aliquote previste per gli atti di trasferimento di diritti reali su beni immobili.
Ai fini dell’imposta di registro, occorre, infatti, procedere all’applicazione dell’imposta in considerazione degli effetti giuridici prodotti dagli atti presentati per la registrazione, quali fatti economicamente rilevanti e, quindi, espressivi della capacità contributiva, ai sensi dell’art. 20 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131.
Ciò che conta, ai fini fiscali, è che il riscattante diviene il reale beneficiario del trasferimento del fondo agricolo.
Anche la Corte di Cassazione, pronunciandosi sui profili fiscali del riscatto (pur se relativamente alla prelazione urbana), ha affermato che “… a parte ogni considerazione ‘civilistica’ sulla natura giuridica dichiarativa o costitutiva, della sentenza che pronuncia sulla domanda avente ad oggetto il diritto di riscatto … certamente irrilevante ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro … è pacifico che la sentenza … dispone il trasferimento della proprietà dell’immobile riscattato a favore della società ricorrente … e tanto basta per integrare la fattispecie prefigurata dal combinato disposto degli artt. 1 del d.P.R. n. 131 del 1986, 8, lettera a) e 1, comma 1, della Tariffa, allegata al decreto”, che prevedono l’applicazione dell’imposta proporzionale alle sentenze recanti trasferimento di diritti reali su beni immobili (Cass. 15 ottobre 2001, n. 12551).
L’Agenzia delle entrate ha confermato questa interpretazione con la Risoluzione del 12 giugno 2012, n. 64/E, che ha ripreso quanto era già stato affermato dall’Amministrazione finanziaria con la Risoluzione del 24 aprile 1987, n. 250247: “il primo atto con quelle determinate parti più non sussiste nel mondo giuridico, onde solo il secondo atto costituisce il vero trasferimento e l’imposta non può che far carico esclusivamente ad esso ed ai veri effettivi contraenti, sin ‘ab origine’, per l’effetto retroattivo del riscatto”.
In sede di registrazione della sentenza, il riscattante potrà ovviamente chiedere l’applicazione delle agevolazioni fiscali per l’acquisto dei fondi agricoli, in presenza dei requisiti previsti dalla legge.
A questo proposito, ricordiamo che non sempre ricorrono, in caso di riscatto, i presupposti per la richiesta delle agevolazioni fiscali per la piccola proprietà contadina da parte del riscattante, pur essendo egli necessariamente un coltivatore diretto (o in certi casi un imprenditore agricolo professionale, a seguito della recente modifica legislativa).
Ciò avviene, per esempio, nel caso in cui sia riconosciuto il diritto di riscatto al confinante (coltivatore diretto o imprenditore agricolo professionale) in presenza di un affittuario che non ha la qualifica di coltivatore diretto, e la cui presenza pertanto non esclude il diritto di prelazione agraria del confinante avente i requisiti di legge. In tale ipotesi, infatti, il riscattante acquisterà la proprietà del fondo agricolo, ma non potrà esercitarne la conduzione fino alla scadenza del contratto di affitto, e ciò non gli consentirà di godere delle agevolazioni fiscali sull’acquisto. Si applicherà dunque, di regola, l’imposta di registro con l’aliquota del 9%.
Nel caso in cui, invece, il diritto di riscatto fosse esercitato da un coltivatore diretto non iscritto nella gestione previdenziale e assistenziale, si applicherà l’imposta di registro con l’aliquota del 15%.


L’imposta pagata dall’originario acquirente per la registrazione dell’atto

Per effetto dell’esercizio del diritto di riscatto (e in conseguenza della sentenza che lo accerta), viene meno anche la causa del pagamento dell’imposta di registro versata dall’originario acquirente per la registrazione del contratto di compravendita.
L’acquirente che ha subito il riscatto ha pertanto diritto al rimborso dell’imposta da lui corrisposta per la registrazione dell’atto, per la parte eccedente la misura fissa (attualmente 200 euro). Si evita così una duplicazione di imposta sul trasferimento del medesimo fondo.
Ciò è stato riconosciuto, oltre che dalla giurisprudenza tributaria (Commissione Tributaria Centrale, 20 gennaio 2001, n. 365; Commissione Tributaria Centrale, 11 ottobre 1994, n. 3312; Commissione Tributaria Centrale, 10 aprile 1989, n. 2578), anche dall’Agenzia delle entrate (Risoluzione del 12 giugno 2012, n. 64/E).
L’Agenzia delle entrate ha precisato anche che la richiesta di rimborso delle imposte deve essere avanzata, a pena di decadenza, “entro tre anni dal giorno del pagamento ovvero, se posteriore, da quello in cui è sorto il diritto alla restituzione”, come prevede l’art. 77 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131.
Nel caso del riscatto, il diritto alla restituzione delle imposte sorge per effetto della sentenza, pertanto l’originario acquirente potrà presentare istanza di rimborso nel termine di tre anni dalla data della sentenza di pronuncia sul diritto di riscatto.


I rapporti tra diritto di prelazione e agevolazioni fiscali

Esiste anche un ulteriore profilo di interrelazione tra prelazione agraria e le norme fiscali, un profilo di carattere eminentemente pratico che incide sulla fase preliminare della contrattazione, quando le parti (chi vuole vendere e chi vuole acquistare) prendono in esame l’eventuale presenza di terzi aventi diritti di prelazione sul fondo agricolo.
Come è noto, la presenza sul fondo di un affittuario coltivatore diretto esclude il diritto di prelazione dei confinanti, quindi se egli non è interessato all’acquisto, e pertanto rinuncia all’esercizio della prelazione, ma prosegue la coltivazione del fondo, il proprietario è libero di vendere a un altro soggetto. In questo caso, però, l’acquirente non ha la possibilità di coltivare il fondo agricolo (fino alla scadenza del contratto di affitto), e ciò gli può impedire di godere delle agevolazioni fiscali sull’acquisto. Ciò avviene sicuramente se la durata residua dell’affitto è ancora lunga, mentre se il contratto di affitto si conclude al termine dell’annata agraria in corso al momento dell’atto di compravendita, si può sostenere l’applicabilità delle agevolazioni fiscali (e in tal senso sono orientati alcuni uffici dell’Agenzia delle entrate).
La risoluzione anticipata del contratto di affitto (grazie a un accordo con l’affittuario, affinché rinunci alla conduzione oltre che alla prelazione) risolverebbe il problema delle agevolazioni fiscali, ma potrebbe far sorgere il diritto di prelazione dei confinanti.
Ecco dunque che i due aspetti, quello relativo alla sussistenza o meno del diritto di prelazione agraria, e quello dall’applicabilità o meno delle agevolazioni fiscali, si intrecciano tra di loro, e spesso richiedono una scelta tra due vantaggi tra loro incompatibili.


La soppressa esenzione fiscale per l’acquisto dell’affittuario nell’esercizio della prelazione

Un ultimo accenno merita la specifica agevolazione che era prevista per l’affittuario che acquistasse il fondo agricolo nell’esercizio del diritto di prelazione agraria. In questo caso la legge disponeva che “nessuna imposta o tassa è dovuta” (art. 25, ultimo comma, della legge n. 26 maggio 1965 n. 590).
Si trattava di una norma raramente applicata nella pratica ma riconosciuta dalla stessa amministrazione finanziaria, secondo la quale il legislatore aveva voluto agevolare lo sviluppo della proprietà contadina prevedendo l’esenzione da imposte e tasse per tutti gli atti inerenti la prelazione agraria, compreso l’atto di trasferimento del terreno agricolo acquisito per effetto della prelazione (Agenzia delle entrate, risposta a interpello della Direzione Centrale Normativa e Contenzioso, 3 novembre 2009, prot. 2009/159692, n. 954-174/2009; risposta a interpello della Direzione Centrale Normativa e Contenzioso, 22 ottobre 2004, n. 954-434/2004).
L’esenzione era dunque concessa al coltivatore diretto che, essendo affittuario del fondo agricolo da più di due anni, lo acquistasse nell’esercizio del diritto di prelazione a lui spettante ai sensi dell'art. 8 della legge 26 maggio 1965 n. 590. Dato l’espresso riferimento all’art. 8 della legge 26 maggio 1965 n. 590, si riteneva che l’esenzione non fosse applicabile all’acquisto nell’esercizio del diritto di prelazione agraria da parte del confinante, regolato dall’art. 7 della legge 14 agosto 1971, n. 817.
Questa esenzione fiscale è stata soppressa dall’articolo 10, 4˚ comma, del d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23, che dalla sua entrata in vigore (primo gennaio 2014) ha dichiarato “soppresse tutte le esenzioni e le agevolazioni tributarie” relative a trasferimenti immobiliari a titolo oneroso vigenti al 31 dicembre 2013.

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