Il patto di famiglia per l'impresa

Il passaggio generazionale nell'impresa

Assicurare la continuità della gestione nel passaggio da una generazione all'altra è un'esigenza molto sentita dalle imprese italiane. In un'economia caratterizzata dalla presenza di molte aziende di famiglia, il passaggio generazionale è spesso vissuto con difficoltà, e in alcuni casi le liti insorte tra gli eredi sono causa di una vera e propria crisi dell'impresa.
Le norme dettate dal codice civile sulla successione e la donazione sono sempre state un ostacolo per l'imprenditore che volesse pianificare in anticipo il trasferimento dell'azienda ai soggetti più adatti a garantirne la continuità. La legge sul patto di famiglia si propone di risolvere questo problema, pur tutelando anche le ragioni degli altri familiari e le loro aspettative sulla successione.
Con la legge 14 febbraio 2006, n. 55, in vigore dal 16 marzo 2006, sono stati introdotti nel codice civile gli articoli da 768-bis a 768-octies, che regolano il patto di famiglia, ed è stato modificato l'art. 458, in materia di patti successori.
In seguito la legge ha previsto anche un'esenzione fiscale per i trasferimenti nell'ambito del patto di famiglia (legge 27 dicembre 2006, n. 296).
Il patto di famiglia è un contratto con il quale l'imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l'azienda, e il titolare di partecipazioni societarie le trasferisce, in tutto o in parte, a uno o più discendenti, con il consenso del coniuge e di tutti quelli che sarebbero legittimari (eredi necessari) se la successione si aprisse in quel momento. Chi riceve l'azienda o le partecipazioni societarie deve liquidare gli altri legittimari pagando loro una somma corrispondente alla quota di eredità che gli spetterebbe, a meno che questi vi rinunzino in tutto o in parte.
Il trasferimento dell'azienda o delle partecipazioni societarie ha effetto immediato e definitivo, quindi non può più essere messo in discussione neanche dopo la morte del disponente, salvo alcune eccezioni espressamente indicate dalla legge. L'azienda o le partecipazioni societarie oggetto del patto di famiglia non rientrano nella successione al momento della morte del disponente, e non è ammessa l'azione di riduzione nei confronti del trasferimento, che pertanto deve intendersi come definitivo.
Prima della legge sul patto di famiglia un accordo del genere sarebbe stato impossibile, perché considerato espressamente nullo dalla legge. Il patto di famiglia rappresenta dunque un'importante eccezione al divieto dei patti successori tradizionalmente previsto dalla nostra legislazione (art. 458 del codice civile).
I patti successori sono tassativamente vietati dalla legge italiana, a differenza di quanto avviene negli altri Stati europei. Per patto successorio si intende qualsiasi tipo di accordo con cui qualcuno dispone della propria successione, oppure dispone dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta, o vi rinuncia. Non è possibile, dunque, stipulare un contratto per regolare una successione prima della morte dell'interessato. Il divieto dei patti successori non è stato abrogato, ma il patto di famiglia rappresenta ora un'importante eccezione, che riconosce l'autonomia contrattuale delle parti almeno in presenza di un'azienda o di partecipazioni societarie.
Essendo rimasta in vigore la norma che vieta i patti successori, dobbiamo muoverci con cautela nell'applicazione pratica del patto di famiglia, perché se ne superiamo i confini ricadiamo inevitabilmente in un patto successorio nullo. Un'applicazione disinvolta del nuovo istituto, dunque, può facilmente portare alla nullità degli accordi presi.


Contenuto e oggetto del patto di famiglia

Il patto di famiglia è un contratto con il quale l'imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l'azienda, e il titolare di partecipazioni societarie le trasferisce, in tutto o in parte, a uno o più discendenti, con il consenso del coniuge e di tutti quelli che sarebbero legittimari (eredi necessari) se la successione si aprisse in quel momento (art. 768-bis del codice civile).
Oggetto del patto di famiglia può dunque essere un'azienda, di qualsiasi genere (commerciale, industriale, artigianale ma anche agricola), oppure partecipazioni in una società di qualsiasi tipo, che vengono trasferite in tutto o in parte ai discendenti del titolare.
Nelle norme che disciplinano il patto di famiglia, il legislatore usa la parola "imprenditore" per indicare il soggetto che dispone dell'azienda o delle partecipazioni societarie trasferendole ai discendenti. Il termine, in realtà, è tecnicamente esatto solo nel caso dell'azienda gestita dal proprietario nella forma di impresa individuale, mentre risulta usato in senso atecnico se riferito al titolare delle partecipazioni societarie. Il legislatore, parlando di imprenditore, intende senz’altro riferirsi anche a chi gestisce l'impresa in forma societaria, da solo o con altri soci. Rimane però dubbia la possibilità di utilizzare il patto di famiglia per trasferire una partecipazione sociale di minoranza che non consente in alcun modo di incidere sulla gestione della società, ma rappresenta solo una forma di investimento finanziario. Sarebbe sicuramente contrario alla legge, per esempio, un patto di famiglia con il quale viene trasferita una piccola percentuale di partecipazioni in una società quotata, acquistata dal disponente solo a titolo di investimento. In tal caso, infatti, il disponente non potrebbe certo essere definito, neppure impropriamente, come imprenditore. Nelle piccole e medie imprese il patto di famiglia non si ritiene applicabile a una quota di partecipazione che non può essere considerata "di maggioranza" o quantomeno "di riferimento". E' stato fatto notare, però, che evitare la polverizzazione di una quota, anche modesta, della società potrebbe essere vantaggioso per il futuro dell'impresa. Si ritiene inoltre che non possa essere oggetto di un patto di famiglia la partecipazione in una società considerata di comodo, che come tale non esercita un’attività di impresa. Infine, una società creata appositamente poco prima del patto di famiglia porterebbe probabilmente all’applicazione della normativa sull’abuso del diritto.
Per quanto riguarda il tipo di società le cui partecipazioni possono essere oggetto del patto di famiglia, sicuramente può trattarsi di una società di persone (società semplice, società in nome collettivo o società in accomandita semplice), di una società a responsabilità limitata oppure di una società per azioni (o in accomandita per azioni). L'uso del termine "quote" da parte del legislatore deve intendersi come un'imprecisione di linguaggio, dato che non ci sarebbe alcuna ragione di escludere dal patto di famiglia le azioni di s.p.a.. Si ritiene invece che non possa essere oggetto di patto di famiglia la quota del socio accomandante di s.a.s., che non può incidere sulla gestione della società. Non può essere oggetto di patto di famiglia il diritto di usufrutto su una partecipazione sociale, dato che l’usufruttuario, secondo l’opinione largamente prevalente, non è considerato socio.
In ogni caso il trasferimento delle partecipazioni societarie, anche nell'ambito del patto di famiglia, deve avvenire nel rispetto delle modalità e dei limiti previsti dalla legge, dai patti sociali o dallo statuto per le differenti tipologie di società. Nelle società di persone, dunque, è normalmente necessario l'intervento di tutti i soci, che devono prestare il consenso al trasferimento della quota sociale. Nelle società di capitali, invece, potrà essere necessaria la preventiva rinuncia al diritto di prelazione da parte degli altri soci, oppure il gradimento degli stessi o di un organo sociale, ove previsto dallo statuto vigente. Se l'azienda trasferita è gestita nella forma di impresa familiare, sono fatti salvi i diritti dei familiari partecipanti all'impresa relativamente agli utili e agli incrementi dell'azienda (art. 230-bis del codice civile), che devono essere liquidati direttamente dall'imprenditore e non vanno confusi con la liquidazione a essi eventualmente spettante nell'ambito del patto di famiglia, se essi sono anche legittimari. Non opera, invece, il diritto di prelazione previsto a favore dei familiari partecipanti all'impresa, trattandosi di trasferimento a titolo gratuito, se non di una vera e propria donazione.
Per espressa previsione legislativa, il trasferimento dell'azienda o delle partecipazioni societarie può essere anche parziale, e ciò sembra consentire al disponente di attuare un trasferimento progressivo e dilazionato nel tempo. Nell'azienda il trasferimento parziale può riguardare un ramo di azienda oppure una quota di comproprietà. In questo caso dovrebbe essere costituita una società tra il disponente e i discendenti beneficiari dell'assegnazione, a meno che si voglia ipotizzare un contestuale affitto di una quota dell'azienda, che continuerebbe così a essere gestita in forma individuale, dallo stesso disponente o dal discendente assegnatario. Nel caso delle partecipazioni societarie, invece, il loro trasferimento parziale non crea problemi, e anzi può essere opportuno al fine di realizzare un graduale passaggio generazionale dell'impresa, ma dobbiamo fare attenzione ad applicare il patto di famiglia a una quota di partecipazione che non possa essere considerata "di maggioranza" o "di riferimento".
L'aver ammesso, come oggetto del patto di famiglia, solo l'azienda e le partecipazioni societarie rappresenta naturalmente una grossa limitazione alla possibilità di raggiungere un accordo anticipato su una futura successione. Nell'ambito del dibattito che ha preceduto e accompagnato l'approvazione della nuova legge, era stata prospettata anche la possibilità di estendere il patto di famiglia ai beni immobili o ad altri beni compresi nel patrimonio del defunto, ma il legislatore ha intenzionalmente voluto privilegiare le esigenze di continuità dell'impresa, mantenendo invece l'assoluta rigidità del sistema per tutte le altre ipotesi. Niente da fare, dunque, per chi non ha nel proprio patrimonio aziende o partecipazioni societarie, e anche per gli imprenditori non c'è comunque la possibilità di trasferire con il patto di famiglia beni di altro genere (mobili o immobili) eventualmente compresi nel proprio patrimonio. Per i beni che rimangono nel patrimonio del disponente, dunque, si aprirà a suo tempo la successione secondo le regole ordinarie.


La forma del patto di famiglia

Per espressa disposizione di legge, il patto di famiglia deve essere stipulato nella forma di atto pubblico (art. 768-ter del codice civile). L'intervento del notaio, dunque, è sempre necessario, anzitutto per la natura dei beni oggetto del patto (azienda o partecipazioni societarie), il cui trasferimento richiede un controllo imparziale a garanzia dei terzi, ma soprattutto perché occorre verificare che ciascuno dei partecipanti sia pienamente consapevole delle conseguenze del contratto che sta firmando. Proprio per questo il legislatore non ha ritenuto sufficiente neppure la scrittura privata autenticata dal notaio, abitualmente utilizzata per il trasferimento delle aziende e delle partecipazioni societarie, ma ha richiesto la forma più solenne dell'atto pubblico.
La legge non prevede la presenza di due testimoni, che però è sicuramente opportuna e probabilmente sarà sempre richiesta dal notaio, considerata la natura essenzialmente donativa del trasferimento dell'azienda o delle partecipazioni societarie.


I partecipanti al patto di famiglia

Al patto di famiglia devono partecipare, ovviamente, il disponente e i discendenti ai quali viene trasferita l'azienda o le partecipazioni societarie.
La legge, inoltre, prevede espressamente la necessità che vi prendano parte il coniuge del disponente e tutti quelli che sarebbero legittimari se nel momento della stipula del patto di famiglia si aprisse la sua successione (art. 768-quater, primo comma, del codice civile). Ciò significa che il patto di famiglia può essere stipulato solo se il disponente raggiunge un accordo con tutti i legittimari circa il trasferimento dell'azienda (o delle partecipazioni societarie) e la liquidazione delle altre quote, in denaro o in natura.
In mancanza di accordo unanime, il patto di famiglia non può essere stipulato, quindi questo strumento non può mai essere utilizzato per privare i legittimari dei diritti riconosciuti dalla legge, senza il loro consenso. Il patto di famiglia, d'altronde, non è certo inteso come un mezzo per "diseredare" i legittimari, neppure parzialmente.
La deroga al divieto dei patti successori introdotta nel nostro ordinamento deve intendersi come uno strumento eccezionale, che può essere utilizzato solo con l'accordo di tutti gli interessati. Un patto di famiglia stipulato senza la partecipazione di tutti i legittimari sarebbe irrimediabilmente nullo e improduttivo di qualsiasi effetto. L'ipotesi, avanzata da alcuni interpreti, di "convocare" i legittimari per la stipula del patto e poi procedere anche in assenza di alcuni di loro appare del tutto fantasiosa e priva di qualsiasi riscontro nella legge. Anche in questo caso il patto sarebbe nullo.
Normalmente i partecipanti al patto di famiglia saranno il disponente, il coniuge e i figli. Si può anche ipotizzare che in alcuni casi il disponente intenda trasferire l'azienda o le partecipazioni societarie direttamente a un nipote (figlio del figlio), saltando così una generazione, naturalmente con l'accordo dei figli. La legge non prevede la partecipazione al patto di famiglia dei genitori (o ascendenti) del disponente, dato che questi sono legittimari solo in assenza di discendenti, e la presenza di discendenti è sempre essenziale per la stipula del patto di famiglia.


Il trasferimento dell'azienda e delle partecipazioni sociali

Il trasferimento dell'azienda o delle partecipazioni societarie rappresenta il cuore del patto di famiglia. Il motivo per cui si stipula il patto, infatti, è proprio quello di consentire al disponente di individuare con certezza tra i propri discendenti il soggetto o i soggetti chiamati a garantire la continuità dell'impresa.
Con il patto di famiglia, però, non ci si limita a designare l'erede o gli eredi dell'azienda o delle partecipazioni societarie, ma si opera un trasferimento immediato della proprietà a loro favore. A differenza del testamento, infatti, il patto di famiglia è efficace subito, e non dopo la morte del disponente.
L'idea del legislatore è che l'imprenditore, stipulando un patto di famiglia, abbia intenzione di farsi da parte subito. Come abbiamo visto, però, è ammessa anche la possibilità di un trasferimento parziale dell'azienda o delle partecipazioni societarie, che può essere utile per consentire un graduale passaggio delle consegne. Inoltre, il trasferimento può avere per oggetto la sola nuda proprietà dell'azienda o delle partecipazioni societarie, con riserva dell'usufrutto in capo al disponente. La riserva di usufrutto può essere importante perché consente al disponente di mantenere ancora nelle proprie mani il controllo sull'amministrazione dell'azienda o della società.
Il trasferimento, per espressa disposizione di legge, può avvenire solo a favore dei discendenti del disponente, quindi i figli o i nipoti (figli dei figli). E' esclusa, quindi, la possibilità di stipulare un patto di famiglia a favore del coniuge o dei fratelli del disponente, oppure di altri parenti. Il legislatore ha inteso il patto famiglia come uno strumento per il trasferimento dell'azienda o delle partecipazioni societarie ai discendenti in linea retta.
Non è necessario, però, che tutti i discendenti siano destinatari del trasferimento. E' probabile, anzi, che il patto di famiglia sia utilizzato soprattutto per trasferire l'azienda o le partecipazioni societarie a un solo figlio, o solo ad alcuni dei figli, mentre gli altri intendono dedicarsi ad attività diverse, e sono quindi disposti ad accettare una liquidazione in denaro o con altri beni.
L'importanza del patto di famiglia sta proprio nel consentire un trasferimento immediato e definitivo, che non può più essere messo in discussione dai futuri eredi del disponente. In questo modo si possono assicurare le condizioni migliori per lo sviluppo dell'impresa. Al momento della morte del disponente, l'azienda o le partecipazioni societarie che sono state oggetto del patto di famiglia restano fuori dalla successione, che si aprirà solo sugli altri beni rimasti nel patrimonio del defunto. La legge, infatti, prevede espressamente che quanto ricevuto dai contraenti del patto di famiglia non è soggetto a riduzione né a collazione (art. 768-quater, quarto comma, del codice civile). L'azione di riduzione, come abbiamo visto, consentirebbe di impugnare le donazioni lesive dei diritti dei legittimari, ma nel caso del patto di famiglia non può essere esercitata. La collazione imporrebbe ai discendenti e al coniuge del defunto di conferire nella massa ereditaria quanto ricevuto in donazione dal defunto, ma anche questa non si applica a quanto ricevuto nell'ambito del patto di famiglia. Il trasferimento dell'azienda o delle partecipazioni societarie è dunque definitivo.


La liquidazione dei legittimari

Chi riceve l'azienda o le partecipazioni societarie deve liquidare gli altri legittimari pagando loro una somma corrispondente alla quota di eredità che gli spetterebbe sull'azienda o sulle partecipazioni societarie, a meno che questi vi rinunzino in tutto o in parte (art. 768-quater, secondo comma, del codice civile).
Questa liquidazione avviene a titolo gratuito, cioè senza corrispettivo. Naturalmente l'assegnatario dell'azienda o delle partecipazioni societarie non ha intenzione di beneficiare i legittimari, ma adempie a un preciso obbligo assunto nei confronti del disponente in conformità alla legge. La liquidazione viene dunque assimilata a un onere apposto dal disponente alla donazione dell'azienda o delle partecipazioni societarie, e come tale può essere considerata una donazione indiretta effettuata dal disponente al legittimario.
La liquidazione dei legittimari avviene in base al valore dell'azienda o delle partecipazioni societarie al momento della stipula del patto di famiglia, determinato di comune accordo dai partecipanti, che rimane così definitivamente fissato. La legge non prevede regole particolari per la determinazione di tale valore, che pertanto può essere liberamente individuato dalle parti. L'espressa previsione di una possibilità di rinunciare in tutto o in parte alla liquidazione conferma l'assoluta libertà dei partecipanti nel fissare il valore su cui essa si basa. Per evitare, però, la possibilità che il patto di famiglia sia impugnato da parte di chi non conosceva il reale valore dell'azienda o delle partecipazioni societarie, potrebbe essere opportuno far redigere una perizia di stima.
La liquidazione può avvenire in denaro oppure, in tutto o in parte, anche in natura, cioè con il trasferimento di beni di qualsiasi genere. In questo caso i beni assegnati ai legittimari che partecipano al patto di famiglia sono imputati alle loro quote di legittima secondo il valore che viene ad essi attribuito nel contratto.
Il trasferimento dei beni ai legittimari può avvenire anche con un contratto successivo, che sia espressamente dichiarato collegato al primo, con l'intervento degli stessi soggetti o di quelli che li hanno sostituiti. E' quindi possibile rinviare la liquidazione dei legittimari a un atto successivo, inserendo nel patto di famiglia un semplice impegno a provvedere in tal senso.
E' prevista espressamente la possibilità che i legittimari rinunzino in tutto o in parte alla liquidazione della loro quota di legittima. In questo caso nulla è dovuto da chi ha ricevuto l'azienda o le partecipazioni societarie, e i legittimari, al momento della morte del disponente, parteciperanno alla successione solo sugli altri beni eventualmente rimasti nel suo patrimonio.
La liquidazione ai legittimari rappresenta probabilmente l'aspetto più problematico nell'ambito della disciplina del patto di famiglia, a causa dell'impostazione scelta dal legislatore, e ha già suscitato contrasti tra gli interpreti.
La scelta più logica, quella che ci indicherebbe il buon senso, sarebbe stata quella di consentire al disponente di liquidare direttamente i legittimari, nell'ambito del patto di famiglia, assegnandogli una somma di denaro oppure beni in natura. Per esempio, l'imprenditore avrebbe potuto assegnare l'azienda a un figlio e un immobile di pari valore all'altro figlio. Solo nel caso in cui il valore dell'azienda fosse stato notevolmente superiore a quello degli altri beni presenti nel patrimonio del disponente, avrebbe potuto essere prevista la liquidazione da parte di chi ha ricevuto l'azienda. Il legislatore, invece, ha previsto come unica possibilità la liquidazione dei legittimari da parte dell'assegnatario dell'azienda o delle partecipazioni societarie. Una scelta anomala, perché va contro la normale volontà dei genitori di provvedere direttamente alla divisione del patrimonio tra i figli. Una scelta che si spiega solo con la precisa volontà di limitare il patto di famiglia alla sola azienda o alle partecipazioni societarie, ed escludere tassativamente la possibilità di utilizzarlo per trasferire beni di altro genere, in particolare gli immobili. Una scelta discutibile, che possiamo criticare ma che non possiamo ignorare, neppure proponendo interpretazioni che, per quanto appetibili da un punto di vista pratico, non sembrano compatibili né con la lettera della legge né con il suo spirito.
Purtroppo dobbiamo accettare il fatto che, nell'ambito del patto di famiglia, l'imprenditore può trasferire l'azienda a uno dei figli, ma non può compensare gli altri assegnando loro altri beni. A maggior ragione la liquidazione degli altri legittimari non può avvenire da parte di un terzo (per esempio il coniuge del disponente). La liquidazione degli altri legittimari deve venire solo da chi ha ricevuto l'azienda o le partecipazioni sociali.
Il primo problema che si può presentare è dunque il reperimento della liquidità necessaria, o dei beni da trasferire ai legittimari. Se possiamo presumere che l'imprenditore giunto all'età della pensione abbia altri beni, oltre all'azienda, nel proprio patrimonio, non altrettanto si può ipotizzare per il figlio che sta iniziando adesso l'attività. Sarà dunque inevitabile, nella maggior parte dei casi, il ricorso al credito bancario. Chi riceve l'azienda o le partecipazioni societarie potrà stipulare un mutuo per finanziare la liquidazione degli altri legittimari, offrendo presumibilmente in garanzia l'azienda stessa o le partecipazioni societarie.
Se invece l'imprenditore vuole compensare direttamente gli altri legittimari, versando loro una somma di denaro o trasferendogli altri beni, occorre affiancare al patto di famiglia una o più donazioni, che possono anche essere contestuali ma rimangono necessariamente al di fuori di esso. A queste donazioni, dunque, non si può applicare la disciplina di favore prevista per i trasferimenti disposti nell'ambito del patto di famiglia. Si tratterà dunque di donazioni esposte all'azione di riduzione e alla collazione (oltre i limiti nei quali è ammessa una dispensa). Sarà comunque possibile combinare gli effetti delle donazioni e del patto di famiglia, con eventuale rinuncia alla liquidazione da parte dei legittimari già beneficiati, in modo di avvicinarsi al risultato voluto. In questo modo si potrà anche tenere conto dei beni eventualmente già trasferiti dall'imprenditore ad alcuni figli, mediante donazione o semplicemente fornendo i soldi necessari al loro acquisto (donazione indiretta), come spesso avviene in pratica.
Il punto cruciale, in questo ambito, sta nell'obbligo dell'assegnatario dell'azienda o delle partecipazioni societarie di imputare alla propria quota di eredità, al momento della futura successione, il valore di ciò che ha ricevuto nell'ambito del patto di famiglia. Come abbiamo visto, i beni assegnati ai legittimari che partecipano al patto di famiglia sono imputati alle loro quote di legittima secondo il valore che viene ad essi attribuito nel contratto. Ciò non è espressamente previsto nei confronti dell'assegnatario dell'azienda o delle partecipazioni sociali, ma è chiaro che nella futura successione non possiamo fare a meno di tenere conto di quanto essi hanno già ricevuto nell'ambito del patto di famiglia. In realtà, per l'assegnatario dell'azienda o delle partecipazioni sociali, questa regola discende dalla natura essenzialmente donativa del trasferimento (art. 564, secondo comma, del codice civile). L'assegnatario dell'azienda o delle partecipazioni societarie deve quindi imputare alla propria quota di eredità ciò che ha ricevuto nell'ambito del patto di famiglia, secondo il valore in esso determinato, al netto di quanto egli ha liquidato agli altri legittimari.
Grazie al meccanismo dell'imputazione, anche le donazioni effettuate al di fuori del patto di famiglia possono essere di fatto sottratte all'azione di riduzione. Occorre però trovare caso per caso un difficile equilibrio tra le varie disposizioni, con il rischio che la soluzione individuata sia messa in discussione da un cambiamento imprevisto della situazione. Il legislatore, infatti, sembra volerci costringere a ragionare per compartimenti stagni: da una parte l'azienda, che può essere oggetto di successione anticipata mediante il patto di famiglia, con contestuale liquidazione degli altri legittimari; dall'altra parte il residuo patrimonio dell'imprenditore (beni immobili, denaro, etc.) che continua ad essere regolato dalle norme in tema di successione (o donazione), la cui sorte sarà dunque decisa solo alla morte dell'imprenditore. Purtroppo questo è l'esatto contrario di ciò che avviene nella realtà, dove il patrimonio da trasferire ai figli viene sempre considerato unitariamente.


Le imposte sul patto di famiglia

L'applicazione concreta del patto di famiglia dipende anche dalla sua tassazione. Nella legge che ha introdotto il patto di famiglia, gli aspetti fiscali erano stati completamente ignorati, e ciò aveva inizialmente ostacolato l'applicazione delle nuove norme.
In seguito la legge ha disposto, a certe condizioni, l'esenzione dall'imposta di successione e donazione per i trasferimenti di aziende o rami di azienda, di quote sociali e di azioni a favore dei figli e degli altri discendenti (legge 27 dicembre 2006, n. 296, in vigore dal primo gennaio 2007; l'art. 2, comma 31, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 ha aggiunto anche il coniuge, che però non può essere beneficiario del patto di famiglia), e ha previsto espressamente che essa si applica anche ai trasferimenti effettuati tramite i patti di famiglia di cui agli articoli 768-bis e seguenti del codice civile.
E' stata così confermata l'opinione, già prevalente tra gli interpreti, secondo cui i trasferimenti che avvengono con il patto di famiglia rientrano nell'ambito di applicazione dell'imposta di donazione. In particolare il patto di famiglia può essere equiparato a una donazione modale, cioè a una donazione in cui il donatario ha l'onere di versare una somma di denaro (o trasferire beni in natura) agli altri legittimari. Questi ultimi, dunque, sono destinatari di una donazione indiretta da parte del disponente.
I trasferimenti di aziende o rami di azienda, di quote sociali e di azioni a favore dei figli e degli altri discendenti nell'ambito dei patti di famiglia sono esenti dall'imposta di donazione e successione. Se l'azienda comprende beni immobili, il trasferimento è esente anche dalle imposte ipotecarie e catastali che dovrebbero gravare su di essi.
L'esenzione si applica a tutte le aziende e a tutte le quote di partecipazione in società di persone (Snc, Sas e società semplici), indipendentemente dal loro ammontare.
Se invece si tratta di azioni o quote di Srl l'esenzione si applica solo alle partecipazioni che consentono al beneficiario di acquisire o integrare il controllo della società attraverso la maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria.
Le legge prevede inoltre che il beneficiario deve impegnarsi espressamente a proseguire nella gestione dell'azienda, o a mantenere il controllo della società, per almeno cinque anni dopo il trasferimento, a pena di decadenza dall'agevolazione. A tal fine il beneficiario deve rendere un'apposita dichiarazione nell'atto di donazione, ovvero allegata alla dichiarazione di successione. In caso di mancato rispetto dell'impegno assunto, sarà applicata l'imposta di donazione nella misura ordinaria (4%), ed eventualmente le imposte ipotecarie (2%) e catastali (1%) sugli immobili, oltre alla sanzione amministrativa pari al trenta per cento dell'importo non versato e agli interessi di mora.
La necessità che, per godere dell'esenzione fiscale, il trasferimento di azioni o quote di s.r.l. abbia per oggetto una partecipazione che consente al beneficiario di acquisire o integrare il controllo della società, può creare qualche problema quando il beneficiario non è uno solo dei figli. Infatti, la ripartizione delle partecipazioni fra due o più discendenti impedirebbe a ciascuno di essi di acquisire, da solo, il controllo della società, e di conseguenza farebbe venire meno l'esenzione per tutti. L'Agenzia delle entrate ha mostrato di interpretare questa norma in modo restrittivo. L'unica possibilità per godere dell'esenzione è che il pacchetto di controllo della società sia intestato ai figli in modo indiviso, cioè essi diventino comproprietari dell'intera partecipazione di controllo, nominando poi un rappresentante comune nei confronti della società. Si tratta sicuramente di una complicazione, ma sembra essere l'unica soluzione per ottenere l'esenzione quando il trasferimento avviene a favore di più soggetti. La divisione delle quote o azioni potrà dunque avvenire solo dopo cinque anni dal trasferimento.
Il trasferimento a favore dei discendenti avviene dunque in esenzione dall'imposta, se ricorrono le condizioni sopra indicate. Più complesso è invece il discorso per quanto riguarda la liquidazione ai legittimari. L'agenzia delle entrate, che ha preso posizione solo all'inizio del 2008, ha stabilito che la liquidazione ai legittimari deve essere tassata come trasferimento a titolo gratuito con l'aliquota dell'imposta di donazione prevista in base al rapporto di parentela tra il beneficiario del patto di famiglia e i legittimari destinatari della liquidazione. Ciò significa che nel caso, presumibilmente più frequente, in cui il beneficiario sia uno dei figli dell'imprenditore, e debba liquidare in denaro gli altri figli, cioè i suoi fratelli o sorelle, si applicherà l'imposta di donazione con l'aliquota del 6%, e con una franchigia limitata a 100 mila euro per ogni fratello o sorella.
In realtà si potrebbe obiettare che il patto di famiglia può essere equiparato a una donazione modale, cioè a una donazione in cui il beneficiario ha l'onere di versare una somma di denaro (o trasferire beni in natura) agli altri legittimari. Ciò significa che i legittimari che ricevono la liquidazione sono destinatari di una donazione indiretta da parte del disponente. Possiamo infatti escludere che essi ricevano una donazione da parte del beneficiario del patto di famiglia, dato che egli liquida i legittimari in esecuzione di un obbligazione assunta con il disponente nel patto di famiglia. E' come se il padre dicesse al figlio: "Io ti lascio l'azienda, ma tu devi dare questa somma ai tuoi fratelli". Trattandosi di una donazione indiretta da parte del disponente, la liquidazione dei legittimari dovrebbe essere tassata con l'aliquota prevista per la donazione ai discendenti o al coniuge (4%), e soprattutto dovrebbe beneficiare della franchigia di un milione di euro per ciascuno dei legittimari.
L'agenzia delle entrate, invece, ha dato alla norma un'interpretazione da cui risulta una tassazione più onerosa per la liquidazione dei legittimari, e ciò rappresenta senza dubbio un ostacolo al passaggio generazionale dell'impresa, che si pone in contrasto con lo spirito della legge. Questo fa sì che risulti conveniente esaminare soluzioni alternative alla liquidazione dei legittimari prevista dalla legge sul patto di famiglia, in modo da evitare una tassazione che rischia, in molti casi, di essere eccessiva.


L'impugnazione del patto di famiglia

Lo scopo principale del patto di famiglia è quello di dare certezza e stabilità al passaggio generazionale dei beni d'impresa (aziende e partecipazioni societarie), per favorire la competitività del sistema imprenditoriale italiano. Proprio per questo il legislatore ha previsto che i partecipanti possano impugnare il patto di famiglia, e quindi chiederne l'annullamento per vizi del consenso (errore, violenza e dolo), entro il termine di un anno (art. 768-quinquies del codice civile), in luogo dei cinque anni ordinariamente previsti. A parte questo, si applica la disciplina generale prevista per i contratti (artt. 1427 e seguenti del codice civile). L'annullamento del contratto può dunque essere chiesto entro un anno dal giorno in cui è stato scoperto l'errore o il dolo, oppure è cessata la violenza (art. 1442, secondo comma, del codice civile). Rimane soggetta alle regole generali anche la possibilità di convalida del contratto annullabile.
Tra i vizi del consenso, il più importante è sicuramente l'errore. L'errore di diritto, cioè sul contenuto e gli effetti del contratto, può essere escluso dall'intervento del notaio, che deve assicurare alle parti una piena conoscenza del contratto che stanno concludendo. L'errore di fatto, invece, potrebbe facilmente riguardare l'oggetto del contratto, se non tutti i partecipanti conoscono la reale consistenza economica dell'azienda o della società. Per questo potrebbe essere opportuno, anche se non obbligatorio, far precedere il patto di famiglia da una perizia di stima dell'azienda trasferita o del patrimonio della società le cui partecipazioni vengono trasferite, e prendere a base del contratto i valori risultanti da tale perizia.



I legittimari sopravvenuti

Come abbiamo visto, al patto di famiglia devono partecipare il coniuge del disponente e tutti quelli che sarebbero legittimari se nel momento della stipula del patto di famiglia si aprisse la sua successione (art. 768-quater, primo comma, del codice civile). La situazione potrebbe cambiare dopo la stipula del patto, ma la legge vuole evitare che a causa di questi cambiamenti sia messo in discussione il trasferimento dell'azienda o delle partecipazioni societarie.
Alla morte dell'imprenditore, i legittimari che non hanno partecipato al patto di famiglia possono chiedere ai beneficiari il pagamento della somma che gli sarebbe spettata, quale liquidazione della quota di legittima sull'azienda o sulle partecipazioni societarie, aumentata degli interessi legali, dalla stipula del patto fino all'effettivo pagamento (art. 768-sexies del codice civile).
In pratica, i legittimari che non hanno potuto partecipare al patto possono essere soltanto i figli dell'imprenditore nati dopo la stipula del patto di famiglia (oppure riconosciuti o accertati giudizialmente dopo tale data), e il coniuge dell'imprenditore, in caso di nuovo matrimonio avvenuto dopo la stipula del patto di famiglia.
Questi soggetti conservano i loro diritti sulla successione, ma non possono chiedere una quota dell'azienda o delle partecipazioni societarie, ormai uscite dal patrimonio del defunto. Essi hanno diritto a una somma di denaro corrispondente al valore della loro quota, quale risultante dal patto di famiglia (il valore, dunque, è quello determinato dai partecipanti al patto, e non può essere messo in discussione). Se alla morte dell'imprenditore ci sono nuovi figli (anche figli naturali riconosciuti o accertati dopo la stipula del patto) o c'è un nuovo coniuge, occorre ricalcolare le quote di legittima spettanti a ciascuno, e chi aveva ricevuto più del dovuto, sia esso l'assegnatario dell'azienda o delle partecipazioni societarie, oppure gli altri partecipanti al patto, deve versare una somma di denaro ai legittimari sopravvenuti, per riequilibrare la situazione.
Solo in caso di mancato pagamento i legittimari sopravvenuti potranno impugnare il patto di famiglia. In questo caso il legislatore ha previsto, inspiegabilmente, che si applichino le regole sull'annullamento del contratto per vizi del consenso, mentre si tratterebbe più che altro di una risoluzione per inadempimento.


Lo scioglimento del patto di famiglia

La legge ha previsto anche due ipotesi di scioglimento del patto di famiglia (art. 768-septies del codice civile).
Anzitutto, il patto può essere sciolto con un nuovo contratto, stipulato dai medesimi partecipanti e sempre nella forma di atto pubblico. In questo caso, l'azienda o le partecipazioni societarie ritornano al disponente, e i legittimari devono restituire ciò che avevano ricevuto dall'assegnatario.
Il patto di famiglia potrebbe però essere sciolto anche per recesso di uno dei contraenti, con dichiarazione certificata da un notaio, se nel patto è stata espressamente prevista questa possibilità. Per dichiarazione certificata da un notaio, termine assolutamente improprio, si intende probabilmente un atto pubblico.
La possibilità di sciogliere il patto di famiglia con l'accordo di tutti i partecipanti può rivelarsi utile nel caso in cui il mutamento della situazione renda opportuno modificare gli accordi presi all'interno della famiglia. La previsione di una facoltà di recesso, invece, appare sicuramente contraddittoria, perché priva il patto di famiglia (e di conseguenza il trasferimento dell'azienda o delle partecipazioni societarie) di quel carattere di stabilità e certezza che ne giustifica la stessa esistenza.

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